Riflessioni da “Un treno nel sud”

Che significa nel 2017 prendere un treno nel sud Italia? Cosa si prova, ad esempio, ad attraversare una terra agrodolce come la Calabria a bordo di una “littorina” che ancora annaspa su rotaie consunte, tra litorali d’agave, finocchi selvatici e palazzine abusive?

 

“Quasi tutto quello che si legge qui della Calabria, a parte la letteratura dialettale, è rivolto in genere a magnificare una Calabria che non esiste più […]. La tendenza è al classico”.

 

“Un treno nel sud”, ristampato da Rubbettino col prezioso contributo del Prof. Vito Teti, nell’edizione del 1958 rappresentava la tappa conclusiva dell’Itinerario italiano di Corrado Alvaro, un viaggio nell’umanità variegata del Paese, con le sue contraddizioni, le tensioni sociali e il racconto di un Sud eternamente in bilico tra passato e modernità.

Dal finestrino del mio treno personale colgo un guizzo d’aria nuova, un fermento giovane e dirompente, nel quale mi riconosco e dal quale traggo linfa; ma pure una narrazione ancora intrisa di stereotipi, luoghi comuni, retorica e di quella “tendenza al classico” che il Sud, la Calabria, fatica a scrollarsi di dosso.

Cosa rimane se ci spogliamo dei fasti della Magna Grecia; dell’eredità culturale altrui, che ci attraversa e certamente ci plasma; della mentalità che ci tiene ostaggi di noi stessi e ci fa sentire piccoli davanti alle possibilità inesplorate del mondo? Spogli persino del mare e della terra, cosa racconteremo di noi domani?

Per fortuna Alvaro – dal suo treno che viaggia sui binari dell’identità meridionale, tra cenni autobiografici, tagli giornalistici e passi di pura lirica – interviene a sciogliere l’inquietudine evocando un’arte del vivere nettamente definita, che svela il più importante tra i valori e lo assume a testimonianza storica:  

 

“La dignità è al sommo di tutti i pensieri, ed è il lato positivo dei calabresi, come è la difficoltà contro cui si può urtare inconsapevolmente, poiché è qualche volta tutto quanto ha l’uomo”.

 

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